di Maurizio Dematteis
Il progetto di accoglienza gestito dalla cooperativa Coserco di Genova, ad Arpy, a 1700 metri di altitudine è uno tra i primi progetti per richiedenti asilo e rifugiati della Valle d’Aosta, partiti nel 2014. E’ un Cas, un progetto emergenziale, che la cooperativa ligure ha deciso di aprire nell’ostello che da qualche anno teneva aperto ad Arpy, nel comune di Morgex, sull’onda dell’arrivo massiccio di persone straniere in fuga sul territorio nazionale. Oggi i progetti Cas valdostani sono gestiti da cooperative locali: Cooperativa Enaip, Cooperativa Pollicino, Cooperativa Sorgente, Cooperativa Leone Rosso, Cooperativa Arcanciel. A coordinare i progetti il Presidente della Regione, che in questa regione esercita le funzioni prefettizie avvalendosi del personale e delle strutture regionali.
Per vedere l’apertura del primo Sprar bisogna invece aspettare settembre del 2017.
Il sistema Cas della Valle d’Aosta
A partire da luglio del 2014, secondo i dati della Prefettura di Aosta, la Valleé si è vista assegnare dal Ministero dell’Interno un contingente via via più numeroso di richiedenti asilo o protezione internazionale: quattro trasferimenti nel 2014, per un totale di 67 profughi, a fronte di una quota complessiva di migranti assegnata alla Regione pari a 153; cinque nel 2015 per un totale di 128 migranti, a fronte di una quota di 428; dodici per un numero complessivo di 305 migranti nel 2016, a fronte di una quota complessiva assegnata pari a 602.
In tre anni sono arrivati in Valle 500 cittadini stranieri, 444 dei quali hanno presentato domanda di protezione internazionale e sono stati accolti nelle strutture di accoglienza reperite sul territorio attraverso bandi di gara. 56 stranieri si sono allontanati volontariamente nei giorni immediatamente successivi al loro arrivo, senza presentare domanda di protezione internazionale. Dei 444 accolti, a fine dicembre 2016 erano ancora presenti nelle strutture di accoglienza 291 richiedenti asilo.
Nel 2018 sono acora circa 300, di cui la metà vive ad Aosta città, mentre gli altri, a parte gli ospiti dell’Ostello di Arpy, sono sistemati nell’immediato circondario o nei comuni di bassa valle. Il sistema di accoglienza dei progetti Cas valdostani è strutturato su piccole unità abitative, modello cui fa eccezione solo Châtillon, dove una struttura gestita da diverse cooperative ne ospita una cinquantina. Quelli che hanno ricevuto il diniego se ne sono andati, perché come spiega Silvia Squarzino, della cooperativa Enaip Vallée d’Aoste, titolare di un Cas in città: «Qui ad Aosta da clandestino non puoi stare, e se ricevi il diniego vai via, nelle grandi città».
Circa la metà dei titolari di protezione hanno invece trovato casa e lavoro, e oggi vivono in valle
«Il lavoro di sensibilizzazione verso la popolazione locale richiede tempi lunghi – continua Silvia Squarzino -. Eppure, anche se l’atteggiamento in generale non è dei più aperti, sono nate delle reti di persone, piccole reti informali che collaborano con i progetti di accoglienza, davvero importanti per le prospettive di integrazione dei nostri ospiti».
Nonostante le resistenze di alcuni residenti e la poca attenzione della politica locale verso i progetti di accoglienza, nel 2017 è nato il primo Progetto Sprar della Valle d’Aosta.
Progetto Sprar Valle d’Aosta
La nascita del primo progetto Sprar sul territorio valdostano arriva a settembre del 2017, quando tre sindaci si sono consorziati per rispondere al bando ministeriale. «I tre sindaci hanno partecipato inizialmente per dare una risposta alla possibilità che sui loro territori si presentassero strutture Cas che non prevedono una riparametrazione in base alla popolazione – spiega Flavia Tartaglione, del consorzio Trait d’Union, responsabile dell’ente gestore per lo Sprar valdostano -. Dopodiché, costruendo questa alternativa e nel presentare il progetto si sono informati, esposti pubblicamente, coinvolti ed appassionati all’argomento. Saint Vincent, lungo la valle centrale, Champorcher e Saint-Rhémy-en-Bosses, della Valle del Gran San Bernardo sono ad oggi sono gli unici comuni in tutta la Valle d’Aosta ad aver risposto al bando Sprar. Hanno distanze di oltre 90 chilometri tra loro, eppure si sono consorziati per accogliere. Hanno cercato di far aderire altri colleghi, quelli vicini, ma non son riusciti a trovare altri comuni disposti ad aderire». Tolto Saint Vincent, che è una cittadina lungo la direttrice di fondo valle, gli altri due comuni sono molto piccoli, sotto i 300 abitanti, e lontani dal centro di Aosta, al quale sono collegati con sole tre corse di pullman al giorno: uno alle 8 di mattina, uno a metà giornata e uno alle 17.
Saint Vincent, dove sono presenti caratteristiche simili a situazioni di città, il progetto è stato organizzato senza particolari difficoltà. Sono 15 i posti per giovani adulti ospitati in 3 strutture, che non hanno avuto problemi con i residenti e per i quali sono stati portati avanti progetti di integrazione lavorativa. La sfida ora è quella di riuscire a catalizzare una rete di persone e di volontari attorno a loro, per promuovere la cultura del dialogo.
A Champorcher invece, dopo iniziali problemi vissuti in passato con la popolazione locale, l’ente locale ha optato per ospitare una famiglia di 4 persone, due adulti e due bambini, provenienti dal Kurdistan iracheno. Questo ha permesso agli operatori di creare fin da subito una rete di persone del posto che si è impegnata ad aiutare il progetto, costruendo una risposta non solo istituzionale, ma anche di accoglienza comunitaria.
A Saint-Rhémy-en-Bosses infine, sono 6 i ragazzi adulti ospitati in un unico edificio in una piccola frazione isolata. Anche in questa situazione, per creare reale integrazione, diventa importante riuscire a coinvolgere parte della comunità, per promuovere spazi di confronto e di possibili interazioni. E un segno importante in questo senso si è avuto da alcune imprese locali che hanno dato la loro disponibilità a offrire formazione professionale ad alcuni dei beneficiari accolti.
Lavoro e casa: luci ed ombre della Valle d’Aosta
« Ci sono ancora spazi per offrire opportunità lavorative in Valle d’Aosta», dice Flavia Tartaglione. Come l’albergo 5 stelle che ha recentemente aperto ad Ayas, e ha chiesto di poter avere due giovani lavoratori stranieri. «Ci ha detto che ha cercato gente del posto ma non ha trovato nessuno – spiega Silvia Squarzino -. Probabilmente per gli orari di lavoro difficili». Poi c’è una ditta che è partita con un tirocinio di un anno, poi un’assunzione a 6 mesi, con l’impegno da parte del ragazzo di imparare bene l’italiano, e da parte della ditta di formarlo per passare da operaio generico a qualificato, per finire con un contratto a tempo indeterminato. Nel frattempo la stessa ditta ha trovato l’alloggio al ragazzo. E tanti altri singoli esempi.
Le opportunità di lavoro oggi sono principalmente nel turismo e, in misura minore, in agricoltura. Poi c’è il lavoro in alpeggio, che però, spiegano gli operatori, fino ad oggi è stato più raro. «Ci sono altre etnie radicate, e altri canali – continua Silvia Squarzino -: sono per la maggior parte o provenienti dall’area del Maghreb o dell’est europa, con grosse difficoltà di convivenza. Per cui ci hanno sconsigliato il settore. Eppure un ragazzo che ha molto insistito, perché faceva quello in Africa col nonno, ora è in alpeggio. Forse perché oggi dei vecchi gruppi che lavorano in alpeggio, marocchini e est europei, alcuni cominciano a spostarsi a nord: Svizzera, Olanda, Francia. Dove pagano di più, e quindi si liberano dei posti».
Ad Aosta pochi mesi fa è nata la prima esperienza di autoimprenditorialità di richiedenti protezione: quattro ragazzi hanno aperto un’azienda agricola, una società semplice, in collaborazione con l’Associazione di agricoltura biodinamica locale. Si chiama New Dream.
E poi c’è il problema della casa, un altro passaggio delicato in Valle d’Aosta: se trovano il lavoro, e una parte di essi lo trova, è poi difficile trovare casa, perché in pochi sono disposti ad affittare a stranieri.
Lo Sportello del piano di zona, assieme alla Prefettura, lavora assieme ai servizi di accoglienza e al Fami per fare da collettore delle persone in uscita dai vari servizi, tenendo insieme Cas, Sprar ed un servizio di seconda accoglienza partito da pochi mesi.
New Dream: progetto di autoimprenditorialità
E’ un’azienda agricola che lavora sull’agricoltura biodinamica, all’interno di un terreno che la Regione ha dato in gestione all’Associazione Biodinamica locale. L’associazione ha tenuto un pezzettino del terreno per realizzare un orto didattico per le scuole, e il resto l’ha affidato all’azienda agricola. Il venerdì pomeriggio c’è il mercato bio ad Aosta, con diverse associazioni del territorio, e l’azienda agricola tiene un banchetto per vendere i suoi prodotti. L’azienda è costituita da 4 soci, tutti stranieri. «C’è ancora bisogno di un grosso sostegno della rete dei volontari intorno – spiega Silvia Squarzino – ma la realtà è neonata, e siamo alla prima stagione produttiva. Hanno ancora qualche problema ad esempio nella definizione dei prezzi, nella scelta delle nuove colture, nella commercializzazione dei prodotti , nelle pratiche amministrative e nel dividersi gli incassi. Infatti, per ora, la cassa la gestiamo noi in cooperativa, cercando di mediare tra i soci». Nella speranza che in futuro i neoagricoltori riescano a gestirsi autonomamente.
Un bilancio complessivo
Dal 2014 a oggi, nei progetti Cas sono passate circa 500 persone e in quello Sprar 21. Di questi circa 110 sono sul territorio con casa e lavoro. Un altro centinaio ci sta provando, tra tirocini e attività di volontariato. Gli altri se ne sono andati.
Per quanto riguarda le persone impiegate direttamente nella gestione dei progetti, sul sistema dell’accoglienza Cas lavorano una quarantina di persone, sullo Sprar 5, per un totale di 45 posti di lavoro.
La cosa che auspicano le due operatrici è che possa svilupparsi un piano regionale sul tema delle accoglienze, di modo che si possa sviluppare un modello integrato e diffuso sul territorio, anche alla luce dei nuovi risultati politici.