di Maurizio Dematteis
Pettinengo (Bi) è un piccolo comune della montagna piemontese, a 800 metri di altezza, con 1500 abitanti. A Pettinego, in passato, oltre 600 residenti lavoravano alla Liabel, l’industria tessile il cui marchio è divenuto famoso negli anni ‘80 per la maglieria intima. Ma nel 2000 la fabbrica è stata chiusa e le famiglie dei 600 lavoratori sono state investite dal problema della disoccupazione e la crisi economica ha cambiato il ivolto del territorio. Ma Pettinengo, pur vivendo un periodo difficile, a partire dal 2014 ha deciso di puntare sull’ospitalità e lavorare sull’ostilità e la paura verso gli stranieri, dando alloggio a 15 richiedenti protezione internazionale, accolti presso la sede locale dell’Associazione Pacefuturo onlus, la più bella villa settecentesca del Comune, con un progetto emergenziale CAS (Centro di Assistenza Straordinaria). Gli ospiti stranieri sono saliti in pochi mesi a oltre 130, alloggiati in 11 piccole unità abitative distribuite sul territorio tra i comuni di Pettinengo e Ronco Biellese, con il coinvolgimento attivo dell’amministrazione comunale e della parrocchia locale.
Quando arrivarono i primi ospiti stranieri, nel 2014, l’Associazione Pacefuturo ospitava una struttura per disabili ed aveva già cominciato a lavorare alla promozione di una cultura dell’accoglienza nella popolazione locale. L’Associazione, partendo dal presupposto che l’accoglienza di profughi è un’attività complessa sotto tutti i punti di vista e che va affrontata con molta attenzione e professionalità, ha realizzato un’analisi dettagliata del contesto territoriale sul modello dei progetti di cooperazione internazionale all’estero. Dopodiché ha cercato di valorizzare le risorse umane locali poco specializzate ma con un elevato bagaglio di esperienze umane, impiegando una trentina di persone disoccupate, di cui 15 dipendenti, tutti di Pettinengo. Tanto che oggi Pacefuturo è diventata l’attività economica più importante del paese, capace di ridistribuire tra i residenti di Pettinengo oltre 50 mila euro ogni mese, tra stipendi, vitto e alloggi affittati per ospitare gli stranieri.
Ma il Progetto CAS di Pacefuturo Onlus non si è limitato a lavorare sull’arrivo e sistemazione logistica degli stranieri, fin da subito gli operatori di Pettinengo si sono posti il problema di accompagnare gli ospiti lungo un percorso di “integrazione” nella realtà locale, coscienti del fatto che il termine “integrazione” sia da utilizzare con attenzione, che la ricchezza sta nelle persone, nella loro cultura, nelle loro radici, e che tutto questo possa essere una fortuna da portarsi in casa, facendosi contaminare e condividendo le esperienze. Il Progetto di Pettinengo cerca di valorizzare al meglio tutte le risorse umane presenti, locali o straniere che siano, e di sviluppare la creatività nel suo modello di accoglienza: come nel caso della collaborazione tra l’associazione locale La Piccola Fata e Tessituraeoltre di Asti, che hanno aperto una scuola di artigianato nella sede di Pacefuturo per imparare a tessere, a cucire e a lavorare la ceramica. O come nel caso del laboratorio di apicoltura, nato e gestito grazie all’impegno di uno dei richiedenti asilo, cui nel frattempo è stato riconosciuto lo status di rifugiato e che è stato assunto da Pacefuturo.
«Stiamo costruendo giorno per giorno un tessuto forte e prezioso, dove vediamo crescere entusiasmo e collaborazione – spiega Andrea Trivero, direttore di Pacefuturo Onlus e ispiratore del Progetto CAS – dove la diffidenza lascia il posto alla vicinanza e alla voglia di conoscere, dove un paese di montagna, balcone del Biellese, vede camminare per le sue strade giovani africani che vanno al lavoro la mattina, che si recano ai laboratori specialistici, che studiano l’italiano, che iniziano a vivere nelle case delle persone, con le persone, per aiutare». Una collaborazione che nel 2015, alla notizia che un gruppo di maliani aveva ricevuto il decreto di espulsione, ha visto unirsi tutta la popolazione di Pettinengo in una manifestazione pubblica di protesta con sindaco e parroco in testa, per cercare una soluzione alternativa, perché ormai quelle persone facevano parte integrante della comunità, e dopo aver condiviso con loro esperienze significative, non volevano più perderle.
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Credit Foto: Archivio Associazione Pacefuturo